Sabato 28 giugno 2025, il duo punk Bob Vylan ha guidato i cori di “Morte all’IDF” durante la loro esibizione al Festival di Glastonbury. Il coro ha suscitato una diffusa condanna da parte di politici e gruppi di pressione pro-Israele, che lo hanno interpretato come un incitamento alla violenza. Tuttavia, questa interpretazione travisa l’intento del coro. Questo saggio sostiene che il coro debba essere inteso come una richiesta legittima e moralmente urgente di smantellare le Forze di Difesa Israeliane (IDF) come istituzione e di ritenere responsabili gli individui per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e atti che potrebbero costituire genocidio, in conformità al diritto internazionale.
La portata della distruzione e della perdita di vite a Gaza dal 7 ottobre 2023 è immensa. Il Ministero della Salute di Gaza riporta oltre 62.000 morti diretti confermati, mentre stime più ampie prevedono un totale di quasi 500.000 morti, considerando le morti indirette dovute a carestia, collasso del sistema sanitario e persone non contate potenzialmente sepolte sotto le macerie. Uno studio del Lancet del 2024 ha stimato fino a 186.000 morti indirette, e ricerche di Harvard hanno evidenziato 377.000 persone scomparse. Le dichiarazioni politiche israeliane che fanno riferimento a piani per trasferire 1,8 milioni dei 2,3 milioni di residenti di Gaza pre-guerra implicano una drastica riduzione della popolazione. I dati satellitari (Statista, giugno 2025) mostrano che il 70% degli edifici è danneggiato o distrutto, con il 75% non abitabile e la metà ridotto a macerie. La distruzione delle infrastrutture — inclusi ospedali, impianti idrici e sistemi igienico-sanitari — insieme alla mutilazione di 25.000 individui, molti dei quali bambini, soddisfa molteplici criteri della Convenzione sul Genocidio: uccisioni di massa, inflizione di gravi danni, distruzione delle condizioni essenziali per la vita, prevenzione delle nascite attraverso il collasso ambientale e medico, e trasferimento forzato.
Questi risultati derivano da politiche deliberate del governo israeliano. Il primo ministro Netanyahu ha supervisionato le operazioni militari; il ministro delle finanze Smotrich ha ostacolato gli aiuti umanitari; il ministro della difesa Gallant ha avviato l’assedio degli “animali umani”; e il ministro degli esteri Katz ha sostenuto misure devastanti. L’IDF non ha solo eseguito ordini, ma ha celebrato le sue azioni. Le indagini di Haaretz e Fathom rivelano che le unità di operazioni psicologiche dell’IDF hanno diffuso contenuti grafici di vittime palestinesi con didascalie disumanizzanti attraverso canali non ufficiali. Queste azioni riflettono non un comportamento isolato, ma una cultura sistemica di impunità e violenza.
Il coro “Morte all’IDF”, ripreso da una grande folla a Glastonbury, non è un invito letterale alla violenza contro singoli soldati. Piuttosto, esprime una richiesta di dissoluzione di un’istituzione che ha sistematicamente violato il diritto umanitario internazionale. Questa interpretazione è in linea con precedenti storici, come la decisione degli Alleati di smantellare la Wehrmacht nazista dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Le richieste di smantellamento di forze militari implicate in atrocità di massa non sono nuove. Questo coro simboleggia la necessità morale e legale di porre fine alla capacità operativa dell’IDF e di ritenere responsabili coloro che hanno una responsabilità individuale per le violazioni, inclusi comandanti militari, leader politici e soldati che hanno partecipato o permesso atti illegali. Riflette un rifiuto simbolico e politico di una forza militare che, nella sua forma attuale, opera al di fuori dei confini della legalità e dell’umanità.
L’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite consente l’autodifesa in risposta ad attacchi armati da parte di stati, una disposizione non applicabile qui. Gaza non è riconosciuta da Israele o dalla maggior parte della comunità internazionale come uno stato sovrano, e Hamas è considerato un attore non statale. Secondo il diritto internazionale, Israele rimane la potenza occupante a Gaza, vincolata dalla Quarta Convenzione di Ginevra (1949), che limita l’uso della forza militare contro la popolazione occupata.
Azioni militari come assedi, bombardamenti e il targeting delle infrastrutture civili esulano dall’ambito di una legittima attività di polizia ai sensi dell’Articolo 27 della Convenzione. La portata della risposta — 500.000 morti stimati a Gaza contro 1.200 vittime israeliane il 7 ottobre 2023 — dimostra un uso della forza gravemente sproporzionato e illegale. Questo contesto rafforza l’affermazione che la condotta di Israele non soddisfa la soglia legale per l’autodifesa, ma costituisce un’occupazione illegale e potenziali atti di genocidio.
I processi di Norimberga hanno stabilito che obbedire agli ordini non esonera gli individui dalla responsabilità per crimini di guerra o genocidio. La Carta di Londra e il Principio IV di Norimberga affermano l’obbligo di disobbedire a ordini illegali. Questi principi sono alla base dei codici militari globali, incluso il quadro etico dell’IDF, che richiede ai soldati di rifiutare ordini illegali.
Documenti diffusi dall’avvocato internazionale Itay Epshtain mostrano legislatori israeliani che ordinano la distruzione delle infrastrutture civili e la negazione di beni essenziali, direttive chiaramente illegali. L’esecuzione di tali politiche da parte dell’IDF — accompagnata da vanterie e retorica celebrativa sui social media — dimostra una partecipazione volontaria e consapevole. Queste azioni rispecchiano i tipi di reati perseguiti dopo la Seconda Guerra Mondiale e sottolineano la necessità di responsabilità individuale.
Nonostante le misure provvisorie emesse dalla Corte Internazionale di Giustizia nel gennaio 2024 e l’indagine in corso della Corte Penale Internazionale, i meccanismi internazionali non sono riusciti finora a prevenire sofferenze di massa. Il numero stimato di morti e la distruzione a Gaza richiedono un’azione decisiva: smantellare l’IDF nella sua forma attuale e perseguire gli individui a tutti i livelli che hanno commesso o permesso crimini.
Questa non è una richiesta di vendetta, ma di giustizia. Lo smantellamento di un’istituzione che facilita crimini di guerra sosterrebbe l’ordine giuridico internazionale e scoraggerebbe future atrocità. La cultura interna dell’IDF — come dimostrato dalle celebrazioni pubbliche della distruzione — sottolinea l’urgenza dello smantellamento istituzionale e della ricostituzione secondo norme legali ed etiche.
Inquadrare il coro di Glastonbury come incitamento, mentre si tollera un discorso d’odio molto più esplicito da parte di funzionari e cittadini israeliani, rivela un doppio standard. Almeno dal 2021, durante le marce del Giorno di Gerusalemme, folle che includono figure governative come Itamar Ben Gvir hanno cantato “Morte agli arabi”, uno slogan accompagnato da aggressioni fisiche ai palestinesi. Queste espressioni di odio etnico sono in gran parte normalizzate nel discorso pubblico israeliano.
Al contrario, il coro di Glastonbury prende di mira un’istituzione militare, non un gruppo etnico o religioso, e chiede il suo smantellamento a causa del suo coinvolgimento in atrocità di massa. Confondere ciò con l’incitamento alla violenza significa travisarne il contenuto e l’intento, ignorando una retorica più esplicita e pericolosa tollerata altrove.
Alcuni potrebbero sostenere che le azioni di Israele siano risposte difensive agli attacchi di Hamas. Tuttavia, secondo il diritto internazionale, le potenze occupanti non hanno il diritto di invocare l’autodifesa nello stesso modo degli stati sovrani. L’impatto sproporzionato, il targeting di civili e la celebrazione documentata della violenza invalidano le affermazioni di una difesa legittima.
Altri potrebbero avvertire di instabilità politica derivante dallo smantellamento dell’IDF. Tuttavia, la storia mostra che tollerare l’impunità porta a un’instabilità più profonda e ulteriori atrocità. Come con la risposta ritardata degli Alleati all’Olocausto, l’inazione di fronte al genocidio diventa un fallimento morale e storico.
Gli eventi a Gaza rappresentano una delle più gravi crisi umanitarie e legali del 21° secolo. Con un numero stimato di 500.000 morti, le operazioni dell’IDF — autorizzate da leader come Netanyahu, Smotrich, Gallant e Katz — sono passate nel territorio delle atrocità sistematiche. Il coro “Morte all’IDF” deve essere inteso non come un invito alla violenza, ma come una richiesta politica e legale di smantellare un’istituzione militare implicata in crimini contro l’umanità e genocidio.
La comunità internazionale deve agire con decisione: smantellare l’IDF nella sua forma attuale e ritenere responsabili tutti gli individui, dai comandanti ai leader politici, con una responsabilità dimostrabile per questi crimini. Così facendo, si riaffermerà il principio che nessuna forza militare può agire con impunità e si onorerà l’eredità di Norimberga, dove la giustizia ha prevalso non attraverso il silenzio, ma attraverso la responsabilità.